La sebàda o seada
è un po’ l’essenza dell’anima culinaria sarda, formata due sottili dischi di pasta di semola e strutto, con i bordi dentellati, che racchiudono dell’ottimo formaggio, fritti in olio evo, e cosparsi di miele.
Un tempo la sebàda si friggeva nello strutto, per cui alcuni linguisti ipotizzano che il nome derivi dal latino sebum: untuosa, appunto, di quella untuosità fritta che risulta piacevolissima al gusto appunto.
fotografia di Maria Pia Cossu
Oggi sono diffuse in tutta l’Isola ma tradizionalmente erano pertinenza delle cucine delle aree pastorali: Barbagia, Ogliastra, Logudoro, Gallura e Goceano.
Sappiamo che l’apicoltura e l’allevamento sono millenari in Sardegna, così come la coltivazione di cereali. Ce lo raccontano le evidenze archeologiche, le fonti storiche antiche e medievali e il folklore locale. Ipotizziamo che la seada sia una pietanza davvero tradizionale, che rammenta delle vivande antiche come la placenta latina a sua volta derivata dalla placous greca, caratterizzate dalla compresenza di sottili strati di pasta, miele e formaggio.
Troviamo le seadas già citate nel vocabolario sardo-italiano del canonico Giovanni Spano, a metà Ottocento, e poi dal Premio Nobel per la Letteratura Grazia Deledda, che nelle Tradizioni popolari di Nuoro che scrive di “sas sebadas”, “piccole schiacciate di pasta e formaggio fresco passato al fuoco. Vengono fritte” e le indica come un dolce tipico del Carnevale.
fotografia di Elisa[...]
La seada, pasta formaggio e miele per una pietanza dal sapore divino